Onorevoli Colleghi! - Il cospicuo numero di procedimenti penali avviati sulla base di denunce anonime o comunque provenienti da soggetti non identificati o identificabili arreca grave danno e nocumento all'improcrastinabile esigenza di alleggerire l'allarmante carico di adempimenti affidati all'autorità giudiziaria.
La necessità di una definizione in tempi ragionevoli dei procedimenti in corso, sancita dal nuovo testo dell'articolo 111 della Costituzione, nonché dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950, impone una più rigorosa valutazione delle notizie di reato provenienti da scritti anonimi o comunque da persone non individuabili.
In un simile contesto non può del resto sottovalutarsi il rischio che, a causa dell'impossibilità pratica di espletare tutte le indagini necessarie a valutare la fondatezza delle notitiae criminis che vengono quotidianamente sottoposte all'attenzione delle procure, l'obbligatorietà dell'azione penale prevista dall'articolo 112 della Costituzione si traduca di fatto in scelte discrezionali operate dagli organi inquirenti e sottratte a qualsiasi possibilità di controllo.
Anche a tali fini, ed a prescindere dalla doverosa assunzione di responsabilità richiesta a ciascun cittadino che si rivolge all'autorità giudiziaria, l'articolo 333 del codice di procedura penale prevede sin dalla sua formulazione originaria che «delle denunce anonime non [possa] essere fatto alcun uso».
Il dettato di tale norma risulta di fatto svilito da una parte della magistratura inquirente sotto due rilevanti profili.
Da un lato, l'evidente necessità di equiparare la denuncia anonima a quella presentata